Arun Gandhi ha affermato: “Tutti siamo violenti ma spesso non lo riconosciamo perché crediamo che violenza consista solo in lotte, uccisioni, aggressioni e guerre, tutte cose che la persona media di solito non fa”
Tutti siamo violenti anche se non spintoniamo o colpiamo altre persone. Ma allora, come facciamo ad essere violenti o aggressivi? Con le nostre parole.
Inavvertitamente, ognuno di noi non si accorge, ma ci esprimiamo spesso innescando nell’altra persona la sensazione di essere aggredita. L’articolo di oggi vuole segnalarti alcune situazioni di comunicazione aggressiva che molto probabilmente utilizzi in coppia o con i tuoi figli e che potrebbero generare situazioni di scontro.
La comunicazione non dipende solo da te
Inizio con il dire una cosa che va contro quanto dicono molti formatori di comunicazione con l’impronta dei coach motivatori. Affermano che la comunicazione dipende interamente da te. È una tua responsabilità se la comunicazione avviene in modo ottimale oppure no e se non avviene in modo ottimale è una tua responsabilità trovare il modo di applicare le dovute modifiche.
A mio avviso, la comunicazione dipende al 51% da te e al 49% è responsabilità altrui. Se conosci tutte le migliori strategie e tecniche comunicative ma dall’altra parte non c’è nessuna intenzione di aprire un varco all’ascolto, le tue conoscenze non ti aiuteranno e dovrai accettare il fatto che non ci sono i presupposti per una comunicazione costruttiva e serena o efficace. Inoltre, la tua comunicazione è aggressiva proporzionalmente alla suscettibilità di chi ascolta.
Ovviamente questo preambolo non deve indurre le persone a crearsi un alibi.
Abbiamo comunque il 51% della responsabilità sul successo o il fallimento della comunicazione e se non facciamo al meglio il nostro 51%, se non facciamo al 100% tutto ciò che è in nostro potere e che è nostra responsabilità fare di quel 51%, le possibilità che la comunicazione sia di valore, saranno basse.
Quindi i corsi e i percorsi a tema “comunicazione” servono? Sì, perché dobbiamo avere gli strumenti per dare il meglio di noi stessi, dobbiamo fare il 100% di quel 51% a nostro carico. Se non siamo disposti noi stessi a impegnarci al 100% per il 51% che ci riguarda, perché mai dovrebbero farlo gli altri? Perché pretendiamo che siano sempre gli altri ad impegnarsi al massimo per risparmiarci la fatica di impegnarci al meglio? La so la risposta: perché è più semplice, perché costa meno fatica, perché è più facile trovare alibi piuttosto che soluzioni.
La suscettibilità di chi ascolta
quindi c’è un 49% di responsabilità per la comunicazione aggressiva a carico dell’interlocutore. In quel 49% che dipende dagli altri c’è anche la loro suscettibilità.
Alcuni sono spiccatamente permalosi e se hanno anche solo un lontano sospetto che tu stia in qualche modo minacciando la loro identità, si chiudono subito a riccio considerando la tua comunicazione aggressiva e si difendono.
Perché agiscono così? Molto probabilmente perché hanno avuto genitori molto critici, eccessivamente accusatori, che hanno fatto sentire quella persona costantemente sotto attacco. L’esperienza ha insegnato loro che la maggior parte della comunicazione era aggressiva, un attacco personale per metterli con le spalle al muro e, quando sono diventati adulti, hanno continuato ad avere questo atteggiamento ipersensibile e sospettoso.
Altri sono particolarmente suscettibili perché hanno una bassa autostima. Ritengono che qualunque cosa venga detta, sia contro di loro per rimarcare e sottolineare la loro inefficacia o le loro incapacità.
In entrambi i casi dobbiamo tener conto che quel 49% dell’altra persona è un equilibrio fragile e delicato e basta un leggero soffio perché si accenda la sirena dell’allarme considerando la tua comunicazione aggressiva.
1 – Evita il “devi”
Per evitare che la nostra comunicazione venga percepita come aggressiva, vi sono degli accorgimenti di cui tenere conto.
Il 1° consiglio è di evitare il “devi” in ogni sua coniugazione: “dovevi” “avresti dovuto” “dovresti” etc…
Il “devi” pone all’altra persona un obbligo e le persone non vogliono sentirsi dire cosa sono costrette a fare. Lo vivono come una comunicazione aggressiva.
La maggior parte delle persone desiderano avere la possibilità di scegliere e decidere.
- “Quando parliamo devi stare più calmo” siamo sicuri che sia una frase che aiuta l’altra persona a tranquillizzarsi?
- “Avresti dovuto telefonare per avvisarmi che arrivavi più tardi” rimanda un po’ alla mamma che redarguiva i piccini quando rientravano dal parco giochi qualche ora dopo l’orario pattuito.
Io cerco di evitare il “devi” anche con i miei figli. Sono ormai grandi e dall’adolescenza in poi si crea un’allergia nei confronti del “devi” e viene percepita come comunicazione aggressiva che genera una tentazione di ribellione.
Il pensiero che innesca questo tipo di affermazione è: “Chi sei tu per dire a me ciò che devo fare?” e nel rapporto di coppia spesso si viene a creare il pensiero “Non sei tu a dover dire a me ciò che devo e non devo fare”.
Se le frasi con il “devi” possono innescare questi pensieri di reazione e difesa, significa che vengono percepite come comunicazione aggressiva.
“Devi apparecchiare” fa nasce quasi sempre nell’altra persona la frase “perché dovrei farlo io?” una frase che potrebbe raccogliere maggiore consenso è “c’è bisogno di apparecchiare, ti va di farlo?” e funziona solo se non ha il tono dell’obbligo ma di una semplice richiesta d’aiuto.
2 – Non metterla sul personale
Il 2° consiglio per evitare che la comunicazione sia aggressiva, non metterla sul personale.
Evita di mettere etichette “tu sei…”.
Molto spesso, ad un certo punto della frase, ci sfugge di dire ciò che pensiamo dell’altra persona (in genere non sono complimenti): “sei un inaffidabile”, “sei un egoista”, “sei senza carattere”, “sei un prepotente”.
Ogni volta che ci esprimiamo attraverso queste etichette stiamo dando una descrizione sommaria dell’altra persona come se fosse un dato di fatto innegabile e immodificabile.
Quando frasi di questo tipo vengono rivolte a te come ti senti? Giudicata/o, accusata/o di qualcosa, sentenziata/o con un verdetto inappellabile, il che viene vissuto come comunicazione aggressiva e irrita terribilmente.
Quando si utilizza questa modalità di comunicazione aggressiva non si portano argomenti, non si parla di un comportamento specifico che noi riteniamo sbagliato. Quando si usano queste etichette si parla in modo sommario, generalizzando, dicendo che quella persona è così, che quella caratteristica è insita in lei, è nel suo DNA, nelle sue cellule e non potrà che essere recidiva poiché è parte della sua natura.
Chi mai vorrebbe essere accusato di qualcosa in modo così categorico? Nessuno. Quindi ogni volta che utilizziamo questo tipo di espressioni dobbiamo essere consapevoli che stiamo provocando frustrazione o rabbia nell’altra persona e, se generano queste emozioni, significa che è una modalità di comunicazione aggressiva.
3 – Chiedi conferma delle tue ipotesi
Molta dell’aggressività che si genera nel rapporto di coppia o con i figli è frutto di ipotesi mai verificate che dal nostro punto di vista sono sacrosanta verità.
Ne parlavo qualche giorno fa con una signora che sta facendo con me un percorso di riavvicinamento della coppia. La mente umana opera in gran parte attraverso il farsi domande ed il darsi risposte. Ogni volta che ci sono delle situazioni irrisolte o dei dubbi, la mente umana si chiede quale sia la verità e inizia a formulare ipotesi. Poi decide quale ipotesi sia la più probabile, la ritiene verosimile e la considera reale.
Lui/Lei non ti ha telefonato: il cervello si chiede: “Perché non mi ha ancora telefonato?” ed inizia a fare ipotesi “perché è molto indaffarato/a” “perché non ha tempo per me” “perché non ci tiene a me” “perché non mi pensa” “perché non vuole avere a che fare con me” etc. avrai notato che solitamente i dubbi sono con ipotesi negative. Difficilmente emerge l’ipotesi “perché mi ama da impazzire e non vuole consumare il nostro rapporto standomi troppo addosso”.
Cosa avviene con l’ipotesi ritenuta veritiera? Che se mi creo (lo sottolineo: MI creo. Ce lo creiamo noi) un’ipotesi negativa come risposta o spiegazione dei fatti, il mio umore sarà frustrato, oppure arrabbiato, oppure accusatorio e se anche poi chiederemo spiegazioni di un dato comportamento, il tono lascerà trasparire il malcontento innescando la percezione di una comunicazione aggressiva.
Quando veniamo assaliti da un dubbio, da una domanda, da un’incognita che ci fa sorgere dei pensieri che abbattono l’immagine e la serenità del rapporto di coppia o con i figli, la cosa più semplice è parlare con l’altra persona e occorre farlo in modo semplice e diretto: “Senti… c’è questa situazione e mi sono fatto l’idea che… è così o mi sono fatto un’idea non reale?”
- “Senti, mi aspettavo la tua telefonata, non è arrivata e mi sono fatto l’idea che non mi hai chiamato perché non ti importa di me… è così o la spiegazione è diversa?”
- “Senti, mi sono accorto che non facciamo più l’amore e mi sono fatto l’idea che non ti piaccio più. È così o ci sono altre ragioni?”
- “Senti, ho la sensazione che parliamo sempre meno. Mi piacerebbe scambiare più del semplice “ciao” al mattino e “bentornato” la sera. Mi sono fatto l’idea che non parliamo più perché vuoi tenermi fuori dalla tua vita. È così o ci sono altre motivazioni?”
Chiaro, semplice, con sincera curiosità per capire se l’ipotesi è corretta o se ci stiamo fasciando la testa per niente.
4 – Non alzare il tono della voce
Il 4° consiglio per evitare la comunicazione aggressiva è di non alzare il tono della voce.
Molti genitori o partner mi dicono che ad un certo punto urlano perché l’altra persona non capisce o non vuol capire. È bene sapere che urlando, le persone non capiscono di più, anzi, capiscono di meno.
Ogni volta che alzi il tono della voce la tua comunicazione diviene aggressiva e l’altra persona non indirizza più il proprio focus sul capire e comprendere il tuo messaggio, ma indirizza la propria attenzione sul difendersi o contrattaccare.
Quindi se l’obiettivo è urlare per far comprendere meglio, dobbiamo essere consapevoli che stiamo facendo proprio la cosa più sbagliata.
La verità è che non si alza il tono della voce per far capire all’altra persona. Si alza il tono della voce per sfogare la propria frustrazione per il fatto che non riusciamo a far comprendere e accettare all’altra persona il nostro punto di vista. Si alza il tono della voce per imporre il proprio pensiero con la forza.
Questo genera una comunicazione aggressiva.
Il segreto per evitare una comunicazione aggressiva sta nel parlare senza pretendere. Per riuscirci è necessario essere realmente convinti che il tuo punto di vista non sia un atto dovuto ma semplicemente come tu ritieni sia giusto.
La verità è che le persone si sentono aggredite perché, nella stragrande maggioranza dei casi, la nostra È effettivamente una comunicazione aggressiva. Magari è un’accusa velata, magari non volevamo esprimerla, ma ciò che alberga nel profondo dei nostri pensieri, attraverso le parole emerge.
Fabio Salomoni

