Oggi proviamo a rispondere a questa domanda: è corretto premiare i figli?

Mi è capitato di leggere di recente un libro che trattava un argomento di grande attualità dal punto di vista educativo: l’educazione emozionale. È un argomento che tratto spesso anch’io e mentre lo leggevo mi beavo dei punti in comune tra il mio pensiero e approccio e quello di questo prestigioso autore internazionale.

Ad un certo punto però i nostri punti di vista si sono nettamente contrapposti poiché criticava aspramente la pratica del premiare i figli a scopo educativo. Dal suo modo di vedere, le sanzioni e i premi non vanno bene perché non forniscono un vero insegnamento, dato che il bambino si comporta bene solo per ottenere il premio o evitare la sanzione e quindi non interiorizza.

Apparentemente ha ragione. Bisognerebbe fare in modo che i bambini capissero che ci si deve comportare bene indipendentemente dai premi.
Il problema che la teoria è splendida ma non si sposa con la realtà e la pratica.

I genitori vogliono migliorarsi

Trovo meraviglioso che oggi ci si chieda come migliorare nel provare le emozioni, che si cerchi il modo per essere più consapevoli delle emozioni e si voglia insegnarlo ai figli.


Teniamo conto che, per molti anni, ci si è preoccupati solo di cosa fare e come riuscirci: agire, realizzare, fare bene o fare male.
Intere generazioni, per centinaia d’anni, si sono concentrate esclusivamente su ciò che era pratico e ci si è mostrati miopi di fronte alla presa in considerazione delle proprie sensibilità.

Ciò che stiamo vivendo credo sia il frutto di una evoluzione.

Quando il problema e i bisogni sono legati alla sopravvivenza, mangiare, dormire, essere al sicuro non ci si può che concentrare su questioni molto pratiche che permettano di soddisfare nel più breve tempo possibile queste necessità.

Ma, quando i bisogni di base non sono più messi in discussione perché vengono regolarmente soddisfatti, allora ci si può dedicare ad aspetti più elevati della natura umana, ed ecco che ci occupiamo di emozioni.

Premiare i figli: chi sa veramente educare?

Per poter tenere i miei corsi sono andato a centinaia di corsi e per scrivere i miei libri ne ho dovuti leggere molti.

Una delle prime cose che mi è balzata all’occhio è che se leggi 100 libri di 100 autori diversi scoprirai che ciò che propongono, differisce.

Ognuno asserisce di avere ragione, tutti sostengono la propria tesi, ogni autore ha la verità.

Quindi non dobbiamo cercare ciò che è giusto. Per ogni autore, ciò che propone è giusto.

Dobbiamo cercare ciò che maggiormente ci “risuona”, ciò che sentiamo essere meglio allineato con i nostri valori, le nostre convinzioni e la nostra personalità.

Io sono portato ad essere pragmatico.
Adoro le teorie, le trovo essere delle ottime basi ma, se le teorie si scontrano con la realtà dei fatti, le considero una perdita di tempo.

Perché faccio questa premessa? Perché affermare che “i bambini devono interiorizzare e capire qual è il comportamento migliore indipendentemente da premi o punizioni” è bellissimo, ma poi chiedo:

In che modo devo parlargli perché interiorizzi? Non è ovvio.
Siamo certi che a quell’età sappiano interiorizzare le spiegazioni? Non credo.
Per quanto tempo dovrò lavorarci prima di ottenere dei risultati? Molto tempo e tonnellate di pazienza.

I bambini anche molto piccoli, sperimentano.
Ogni sperimentazione insegna loro che c’è una causa-effetto, ma non ne sono consapevoli.
La vivono, ma non la razionalizzano.
Imparano che se aprono la mano e lasciano il gioco, il gioco cade a terra ma non imparano ad essere consapevole che se vuole tenere le cose in mano deve chiudere le dita mentre se vuole farle cadere deve aprire le dita. Questo è un pensiero molto più avanzato e lo svilupperanno con il tempo.

Al bambino deve essere spiegato ciò che accadrà, le conseguenze di un certo comportamento, ma solo per “seminare” e abituarlo ad avere consapevolezza per quando avrà un’età in cui quelle parole acquisiranno un senso.

Punizioni o conseguenze?

Però sono d’accordo con una cosa che affermava l’autore: più che sulle punizioni occorre agire sulle conseguenze.

Dare una punizione perché si sono comportati in modo inopportuno, è più che altro uno sfogo del genitore che accumula frustrazione.

Il genitore è sottoposto alla frustrazione di non riuscire ad avere i risultati che aveva ipotizzato (e nei tempi che aveva immaginato) e quindi reagisce gridando, o sculacciando, o mettendo in castigo.

Non agisce per il bene dei figli ma per soddisfare un bisogno di sfogo della propria amarezza o frustrazione come genitore.

Più che sulle punizioni sarebbe opportuno lavorare sulle conseguenze.

Infatti, durante i seminari, ripeto spesso “dite ai vostri figli che sono liberi di agire come meglio credono e informateli che: se agiranno nel modo A avranno una certa conseguenza, se agiranno nel modo B avranno un’altra conseguenza.”

Quindi, il genitore non fa “piombare dall’alto” la punizione a seguito di un comportamento, ma avvisa PRIMA di come sono le “regole del gioco” comportamentale: “Se parli con un tono adeguato ti meriti un “bollino” nel tabellone dei premi, se gridi, avrai un “bollino” negativo sul tabellone delle “sanzioni”.” In questo modo non si tratta di una punizione occasionale, dettata dal momento, dalla frustrazione o dalla rabbia. Avvisando prima delle conseguenze si pone il bambino o l’adolescente di fronte al bivio dello scegliere quali conseguenze preferire.

Questo permette di insegnare loro che le azioni ed i comportamenti hanno delle conseguenze.

“Cosa vuoi? Cosa preferisci? Decidi tu”.

Premiare i figli o no?

Quindi, dare ai figli una alternativa e portandoli a scegliere le conseguenze significa educarli al concetto di causa-effetto.

Attraverso questo approccio premiare i figli o punirli sono lo sprone che pone il bambino o il ragazzo di fronte alla decisione da prendere.

Tutto questo non esclude che il genitore possa e debba spiegare ai propri figli quali siano i comportamenti corretti da tenere e per quale motivo, e quali siano i comportamenti sbagliati che devono essere evitati.

 

Fabio Salomoni