I meccanismi che metti in atto con il tuo partner, rivelano chi sei nel profondo. Tutto ciò che avviene nei tuoi rapporti descrive ciò che avviene in te.

Alla nascita, scopri di essere una Lei o un Lui e ti dicono che non puoi completarti da sola e che devi trovare la metà che ti completi.

Durante l’infanzia, si aprono delle ferite che, inevitabilmente durante la vita, cerchi di risanare, mettendoti in situazioni che, se ci pensi, rivelano le ferite stesse, perché tu te ne possa occupare; perché tu possa risolverle lavorandoci.

Crescendo, inizi la ricerca di chi possa aiutarti, ricolmando i tuoi vuoti e compensando le tue paure.

Gli psicologi chiamano “proiezione” il riconoscere nell’altro, all’esterno di noi stessi, qualcosa ce ci riguarda intimamente; ecco che nello scorgere i difetti e le lacune del partner, stiamo guardando le nostre ferite del passato, perché sono stati proprio le nostre paure o difficoltà ad indirizzare la nostra attenzione su quegli aspetti, facendoceli interpretare in un certo modo.

“Lui è indifferente” ed ecco che si ripropone quel bisogno di interesse che magari non hai ricevuto, per come avresti desiderato, da bambina.

Ed ora la colpa la attribuisci a Lui, ma Lui è lo strumento, Lui è il sintomo che ti fa comprendere che li c’è un qualcosa da migliorare, su cui lavorare, c’è una ferita da curare.

Se così non fosse, se tu avessi avuto un passato privo di ferite, magari, quella stessa situazione l’avresti etichettata in modo differente.

Ma ricordati che tutto ciò che avviene nei tuoi rapporti descrive ciò che avviene in te.

Invece che pensare “Lui è indifferente” avresti potuto pensare “Lui mi lascia la mia libertà”, oppure “Lui è forte e indipendente” o tantissime altre possibili considerazioni, diversi modi di interpretare la stessa realtà, e differenti proprio perché non condizionati di quella ferita.

Lo stesso avviene con il collega che non sopporti, o con i tuoi figli che ti fanno uscire dai gangheri, perché tutto ciò che avviene nei tuoi rapporti descrive ciò che avviene in te, il rapporto che hai con te stessa e le tue aspettative.

Ho letto di recente una metafora che trovo strepitosa.

È come se nascessimo con una sola gamba e cercassimo un partner con una sola gamba per poter camminare. Insieme, avremo finalmente due gambe.

Lo troviamo e tutto sembra perfetto, tutto pare risolto.

All’inizio sorridiamo felici perché il nostro desiderio era camminare stabilmente.

Ci appoggiamo al partner, facciamo totale affidamento sulla sua presenza.

Capita che all’improvviso, uno dei 2 decida di andare in una direzione, ma ecco che cambiando improvvisamente rotta, l’altro si sente privato dell’appoggio di cui ha bisogno, non riesce più ad avanzare e si blocca, o addirittura barcolla, e può persino cascare.

Non ricordiamo di essere nati con una gamba, e malediciamo il partner, poiché ci ha privati dell’appoggio che ci sembrava ormai ovvio, della sicurezza da davamo ormai per certa, e ci ha fatti cadere.

L’altro è cattivo, è colpevole, è carnefice. Noi siamo buoni, siamo innocenti, siamo povere vittime.

Il partner non può essere la fonte della tua felicità. Non puoi inseguire un partner perché hai bisogno di una gamba.

Nessuno soddisferà il tuo concetto di amore se tu non amerai te stessa.

C’è la necessità di lavorare su di sé, per essere parte di una coppia, non per bisogno della coppia.

La coppia è desiderio di condividere non bisogno di compensare.

Rendersene conto è il primo passo per risolvere.

Se ciò che non tolleriamo più del partner, è una rivelazione di ciò che andrebbe sistemato in noi, dovremmo addirittura ringraziarlo per la possibilità che ci offre di agire evolvendo, sciogliendo i nodi del passato e guarendo le ferite ancora sanguinanti.

Prima di cercare la metà, occorre diventare un intero.






 

Fabio Salomoni