Autonomia: una parola che i figli di genitori decisionisti non sanno cosa sia. Sono figli che demandano al papà o alla mamma le decisioni, genitori molto attivi e sbrigativi, è facile che abbiano figli che aspettano di “trovarla pronta”.

Il problem solving è un processo che deve essere appreso, e non dovrebbe essere assimilato a 15, 18 o più anni.

Aiutare i figli è un segno d’amore nei loro confronti, ma una delle più grandi difficoltà genitoriali consiste nel riconoscere e selezionare quando intervenire e quando lasciare che le cose procedano per proprio conto, che i figli agiscano in autonomia, anche se comporta andare incontro a un possibile loro fallimento.

I problemi dei bambini sono facili?

I problemi di un bambino sono meno complicati di quelli di un adulto? No, perché il bambino ha meno risorse e quindi trova nelle proprie difficoltà lo stesso grado di ostacolo.

Ipotizziamo che un bambino piccolo abbia risorse a livello 3 e ed è probabile che incontri problematiche di livello 2, 3 o 4, un adolescente potrebbe avere risorse a livello 50 e probabilmente  le difficoltà che deve affrontare sono di livello 40, 50 o 60 e gli adulti dovrebbero avere risorse a livello 1000 e affrontano ogni giorno situazioni di livello 900, 1000 o 1100. Certo che 1000 è maggiore rispetto a 3, ma l’adulto ha maggiori risorse per far fronte agli eventi. Quindi i problemi hanno per un bambino, un adolescente ed un adulto lo stesso impatto di difficoltà.

L’impatto delle difficoltà sulla vita

Ma una differenza c’è, ed è l’impatto che i problemi hanno sulla vita.
Un problema di livello 3 ha un impatto minimo sulla vita di una persona: non riesce a infilare il cubo giallo perché cerca di inserirlo nel buco triangolare blu del suo giochino. Cosa succede se non riesce? Niente di che. Eppure, alcuni genitori iniziano ad aiutare il bambino, prendono il cubo, lo infilano nel posto giusto e applaudono tutti felici e con mille sorrisi.

A 6 anni deve scrivere i numeri e le lettere restando nei quadrati e nelle righe e se non ci riesce che succede? Che l’inchiostro varca la linea… sai che guaio. Non è una sciagura, imparerà. Eppure, il genitore si fa ancora più presente e un po’ di lettere gliele scrive lui per non vedere gli occhi delusi del figlio che non riesce a governare la penna adeguatamente.

A 10 anni il genitore ancora decide come si deve vestire il figlio e gli fa trovare la maglietta coordinata con i pantaloni, gli prepara il panino per la merenda, e se mancano i fogli protocollo corre a comprarglieli.

L’autonomia in adolescenza

Arriva l’adolescenza e la frase “questa casa non è un albergo” inizia a fare capolino, perché sull’onda dell’assistenzialismo ricevuto sino a quest’età, i figli continuano ad aspettarsi che siano i genitori ad affrontare e risolvere gran parte delle loro difficoltà.

Diventano adulti, e molte delle limitazioni decadono: possono rientrare ad ora tarda, nessuno deve firmare loro il libretto delle assenze e si trovano ad affrontare la vita da adulti con il livello di maturazione per far fronte alle responsabilità, pari a dei 14enni.

A 3 anni non ci dava fastidio aiutarlo, a 6 anni lo vedi ancora bambino e ti sembra normale farlo, a 10 anni inizi a spazientirti e contatti Salomoni perché ti accorgi che tuo figlio, in casa, non dà il minimo apporto. A 15 anni lo scontro è quotidiano e veemente ed il muro comunicativo è già consolidato, a 20-25 anni ti chiedi in cosa hai sbagliato e se sarà mai pronto a far fronte alla sua vita.

Vuoi la mia risposta? Sì, sarà pronto, perché quando si ritroverà catapultato nella realtà quotidiana degli adulti si ritroverà a dover crescere obbligatoriamente; purtroppo sarà una lezione che pagherà a caro prezzo.

Quando insegnare l’autonomia ai figli?

Se inizi a insegnarglielo fin da bambino, l’importo di questa lezione viene dilazionato per 25 anni in piccolissime rate; se non lo hai fatto prima, si ritrova a dover pagare lo scotto di questa lezione tutto in una volta.

Quindi? Come dobbiamo comportarci? Dobbiamo fare dei passi indietro. Non per indifferenza, non per menefreghismo, non per disinteresse, ma per allenarli all’azione e all’autonomia.

Maria Montessori disse: “Mai aiutare un bambino mentre sta svolgendo un compito nel quale sente di poter avere successo” e un’altra sua interessante frase fu: “È necessario che l’insegnante guidi il bambino, senza lasciargli sentire troppo la sua presenza, così che possa sempre essere pronto a fornire l’aiuto desiderato, ma senza mai essere l’ostacolo tra il bambino e la sua esperienza”.

I bambini non vanno aiutati, vanno stimolati, vanno incoraggiati, vanno invitati ed Elogiati.

Non sentirti in colpa perché non lo stai aiutando; stai evitando di sentirti in colpa in futuro per non averlo reso pronto.

Se vuoi scoprire come riuscire a fare questo salto di qualità, contattami il prima possibile.

 

Fabio Salomoni