Vietato spedire i figli in camera loro. La notizia ha fatto scalpore. Forse anche troppo.

Il giornale francese Le Figaro, ha intercettato una mail del Consiglio d’Europa nella quale si annuncia un cambio sostanziale dell’opuscolo dedicato ai comportamenti adeguati e a quelli non adeguati, nel crescere ed educare i figli.

Come prima cosa è bene precisare che il Consiglio d’Europa non è il Consiglio Europeo. Il Consiglio d’Europa è un’Organizzazione Internazionale che promuove la democrazia, mentre il Consiglio Europeo è un organo dell’Unità Europea che stabilisce leggi e regole all’interno della Comunità Europea.

Altra cosa interessante è che vi sia un opuscolo (immagino che pochi di noi ne conoscessero l’esistenza) che indichi ai genitori i comportamenti da adottare per il corretto crescere dei figli e come comportarsi quando i figli hanno un comportamento maleducato nei confronti dei genitori.

Perché è vietato spedire i figli in camera loro

A quanto pare, diverse associazioni hanno pressato il Consiglio d’Europa perché modificasse il precedente opuscolo, inserendo, tra i comportamenti da non attuare più il “Time-out”.

Il Time-out educativo altro non sarebbe che spedire i figli in camera loro a smaltire la propria rabbia o a ripensare ai propri errori.

Quindi, secondo gli esperti e studiosi del Consiglio d’Europa, quando un figlio piange, strepita, risponde male e fa i capricci, se un genitore dice loro con tono imperativo di andare in camera propria a smaltire la rabbia, commette  un atto di violenza educativa.

Cosa ne penso? Si sbagliano.

Ovviamente, come per ogni cosa, occorre analizzare come vengono fatte le cose.

Se tra i genitori ed i figli non c’è dialogo, se ogni bisogno dei figli viene soppresso attraverso l’allontanamento dei figli spedendoli in camera loro, è chiaro che il metodo educativo sia inadeguato.

Aggiungo: se dopo che il bambino è stato mandato in camera ci si dimentica di lui, lo si lascia nella sua stanza per diverso tempo e non si cerca un dialogo che permetta di far comprendere quanto è accaduto, il metodo del “Vai in camera tua” ha il solo scopo di togliere ai genitori il fastidio del bambino che piange e non ha alcuno scopo educativo.

Ma, se al bambino si dice che deve andare in camera sua per un tempo stabilito a penare a quanto è accaduto e che poi se ne riparla, quando si sarà calmato; se, una volta trascorso il tempo stabilito il genitore va nella camera del bambino e instaura una dialogo tranquillo e costruttivo, allora lo strumento del “Time-out” è utile ed efficace, perché ha uno scopo educativo per il bambino e non di sollievo per il genitore.

Come spesso accade, il problema non è lo strumento ma come lo si utilizza.

I figli non devono più riparare i danni che hanno provocato

Un altro cambiamento apportato all’opuscolo: i figli non devono più occuparsi di riparare quanto hanno rotto.

Anche in questo caso non sono d’accordo.

Occorre capire cosa hanno rotto: se hanno rotto il vetro della finestra, non chiederò loro di sostituirlo, e se hanno infranto un bicchiere non chiederò loro di incollare i vari pezzi di vetro e poi bere dal bicchiere riparato.

Ma ci sono piccole riparazioni di alcuni oggetti che possono aver rotto che non comportano alcun pericolo per il bambino stesso e, l’atto di riparare quanto si è danneggiato, ha in sé un evidente messaggio di responsabilità: tu lo hai rotto e ora ti occupi di rimediare al danno.

Anche in questo caso, è necessario che un genitore attento e preparato, valuti casi e situazioni nei quali ricorrere a questa “punizione” e quando, invece, evitarla per non mettere a repentaglio la salute dei figli.

Ai figli non si decurta più la paghetta

Infine, a quanto pare i genitori verranno invitati a non utilizzare più la “paghetta” dei figli decurtandone una parte, nel caso arrechino un qualche danno.

Anche in questo caso sono assolutamente contrario all’iniziativa.

Che i figli possano contribuire almeno in minima parte al riacquisto di quanto hanno rotto o alle spese di una eventuale riparazione di un qualche oggetto, lo trovo sano e doveroso.

Anche in questo caso lo strumento è utile per insegnare ai figli che c’è una “causa-effetto”, che se rompono, maltrattano, rovinano, se non hanno cura delle cose, se non ne hanno RISPETTO, le conseguenze ricadono su di loro.

È chiaro che ad un bambino di 4 o 5 anni è inutile, per riparare il telecomando che ha mandato in frantumi, prelevare dal suo salvadanaio le banconote regalate dagli zii, ma quando inizia a comprendere il l’importanza del denaro per poter soddisfare alcune proprie necessità quando si trova con gli amici, allora può essere un ottimo strumento di responsabilizzazione.

Ai figli spiegare in modo non aggressivo

Quindi, secondo il Consiglio d’Europa, non si può spedire i figli in camera loro, non puoi dirgli “lo hai rotto e ora lo ripari”, non puoi neppure più decurtare un parte della loro “paghetta” come risarcimento di quanto hanno rovinato… bene, e quindi?

No, scusate, ma secondo i luminari dell’educazione, quando un figlio in preda alla rabbia scaglia il piatto in terra, quando un figlio grida e sfoga la propria ira sui genitori o su tutto ciò che gli capita a tiro, i genitori cosa dovrebbero fare? La risposta che danno è: dare spiegazioni in modo non aggressivo.

Bello, mi piace, approvo che i genitori debbano essere non aggressivi ma… tutto qui?

Cioè, per capirci, il bambino usa il cucchiaio come catapulta spedendo i pisellini del piatto in giro per la cucina e io, con voce suadente, gli dico che non è corretto un comportamento di questo tipo?

Ecco la differenza tra la teoria e la pratica.
Questo è ciò che accade quando ci si affida o rivolge a persone che hanno tanta teoria in testa ma non hanno alcuna idea della pratica, di come si svolgano i fatti realmente.

A promuovere questi cambiamenti, come ho già scritto, alcune associazioni come Stop Veo.

Sono organizzazioni straordinarie che lottano ogni giorno contro la violenza educativa, ed in particolare, la violenza educativa ordinaria, cioè la violenza adottata e ritenuta socialmente accettabile, il classico “si è sempre fatto così” o il “lo hanno fatto i miei genitori con me e non sono morto, quindi perché dovrei cambiare metodo?”.

Hanno ragione a denunciare che ancora oggi molti genitori ritengono gli schiaffi un normale metodo educativo, hanno ragione quando lottano per far capire che i ricatti emotivi e le umiliazioni non sono un accettabile metodo educativo, ma attenzione a non cadere nell’eccesso opposto considerando tutto inaccettabile.

 

Fabio Salomoni