Parliamo di figli che non accettano i “no”. Ci sono bambini meravigliosi e straordinari, anche molto piccoli, che sembrano particolarmente refrattari alle regole e ai “no” dei genitori. Di fronte ai divieti è come se si trasformassero con reazioni che appaiono esagerate con pianti e urla, mantenendo la protesta con ostinazione anche per lunghi periodi.

Poi, una volta terminato lo sfogo, tornano i bambini amorevoli di sempre.

I genitori, di fronte a queste reazioni improvvise, qualche volta cercano di accogliere il malessere dei figli mostrando comprensione, altre volte attendono che la bufera passi e, altre volte ancora, reprimono la platealità dei figli con altrettante urla.

Ogni genitore attento si chiede come sia meglio agire in questi casi.

Siamo sicuri che tuo figlio non accetti i tuoi “no”

Ogni situazione eclatante si fissa nella nostra memoria e ce la ricordiamo come se fosse sottolineata con l’evidenziatore fosforescente. Allo stesso modo, tutto ciò che appare “normale” e scorre liscio, viene poco considerato dai nostri sensi e lo si scorda facilmente.

Perché faccio questa premessa? Perché molti genitori hanno ragione quando descrivono alcuni episodi ma, siamo certi che i loro figli non accettino mai i loro “no” e le regole?

Nell’arco di una giornata, un genitore di un bambino piccolo, dice molte volte “no”: “non puoi”, “non si fa”, “non è possibile”, “non adesso” e, nella maggior parte dei casi, i suoi “no” passano sotto silenzio e non scatenano reazioni incontrollabili.

Poi, in alcuni casi, i “no” vengono rifiutati ed è come se su un foglio bianco facessimo un puntino con il pennarello: ci balza all’occhio solo quello e non teniamo in considerazione il resto del foglio.

Durante la giornata i nostri figli accettano molti “no” e in alcuni casi li rifiutano, anche con decisione.
Quei momenti di rifiuto mettono in discussione l’autorità genitoriale e ci lasciano sgomenti ma è già un buon primo risultato evitare di esagerare la situazione noi stessi, chiedendoci se sia vero che rifiutano ogni nostra regola e ogni nostro “no” oppure se sono episodi sporadici.

Altra cosa importante da chiedersi è: negli episodi nei quali i figli reagiscono in modo plateale ai divieti, la loro reazione è motivata? Possono esserci motivazioni indirette, come l’eccessiva stanchezza, che porta i bambini a reagire con ostinazione, perché sono troppo stanchi per riuscire a controllarsi e mostrano un malessere nei confronti di tutto e tutti. Oppure ci sono motivazioni dirette, cioè motivazioni che, dal punto di vista di un bambino hanno una spiegazione, per quanto poco ragionevole da un punto di vista di un adulto.

Accogliere il bisogno di urlare, piangere e protestare

Alcune volte i figli hanno bisogno di sfogarsi.
Alcune volte il loro bisogno è di buttare fuori la frustrazione.
Ci sono delle volte dove il genitore non capisce il motivo della sua rabbia e, accogliendo il loro bisogno di essere arrabbiati, riusciamo a trovare con loro un punto d’incontro e si calmano.

Cosa accade ad un adulto che si arrabbia?
Quando un adulto si arrabbia vuole ottenere due cose e in questo ordine:

  1. Pretende di essere ascoltato e capito
  2. Pretende che il problema venga affrontato e risolto

Il punto 1 è importantissimo anche per la gestione di questi momenti con i nostri figli.

Se un bambino urla, piange, si dispera, significa che, dal suo punto di vista, ha dei motivi che ritiene validi per protestare, disperarsi e urlare. Certamente avrà torto e la reazione è eccessiva e smodata, ma agli occhi di un bambino le motivazioni per quel comportamento ci sono tutte.

La prima cosa che un genitore deve fare è soddisfare il punto 1.
Accogliere il bisogno di sfogare la propria frustrazione. 

Quando la frustrazione è degli adulti

Desidero fare un esempio del mondo maschile e femminile: alcune donne mi dicono che quando sono stanche, quando al lavoro vivono situazioni stressanti o frustranti, quando accadono delle cose che le lasciano senza energia, sentono il bisogno di abbandonarsi in un pianto. Agli occhi di uno sprovveduto (di solito il partner) può apparire un pianto isterico, una perdita di tempo, di energie e può apparire anche una reazione inutile ma, di fatto, molte donne mi dicono di avvertire il bisogno di abbandonarsi al pianto e magari urlare o arrabbiarsi.

I rispettivi partner (ne abbiamo parlato nell’articolo “Quando la donna si sente sola”) credono di dover essere utili risolvendo il problema che causa il malcontento o la frustrazione e quindi danno consigli su come agire, su come risolvere, su come affrontare il tutto dimenticandosi di ciò che hanno realmente bisogno le compagne: accoglienza e comprensione. Le partner hanno bisogno di sapere di non essere sole, di aver accanto qualcuno che le ama. 

Allo stesso modo, anche i genitori, di fronte al pianto dei figli, hanno il desiderio di essere utili e, se il bambino ha un problema, il genitore, per aiutarlo, si attiva risolvendogli il problema. Attraverso questo atto d’aiuto il genitore dimostra il proprio amore. Ma, ricordi qual è il punto 1? Il primo aiuto non consiste nel prodigarsi trovando e risolvendo il problema bensì accogliendo il bisogno di sfogo dei figli (sempre entro certi limiti consentiti perché, se per sfogarsi, lancia i bicchieri contro il muro o rompe tutte le matite, non devi consentirglielo).

Di fronte ai “no” urla e pianti per frustrazione o dissenso

Alcune volte i figli hanno come esigenza primaria il bisogno di essere consolati.  Altre volte hanno semplicemente l’esigenza di poter manifestare il proprio dissenso. 

Quando avviene, è fondamentale l’atteggiamento dei genitori.

Quando si comprende che un bambino ha anche il diritto (entro certi limiti) di poter sfogare e affermare il proprio dissenso, il genitore può mostrare un atteggiamento di accoglienza della manifestazione: “Ok… ti amo e ti accetto anche così. Puoi arrabbiarti e piangere se ti fa piacere. Lo accetto. Poi, quando ti passa, se vuoi ne parliamo, ma se ora hai bisogno di urlare, sfogarti e piangere, fallo pure”.

Quando i figli superano il limite?

I figli hanno anche il diritto di manifestare il proprio disappunto se non superano la soglia del lecito. Certo, a questo punto mi viene spontanea la domanda: dove mettiamo la soglia del lecito? Fino a che punto arriva la nostra tolleranza e quando dobbiamo dire “ora basta, stai esagerando”? Purtroppo, per questo non ho la risposta perché ogni genitore, ogni coppia genitoriale, in ogni casa, deve tracciare la linea di demarcazione secondo i propri valori, le proprie abitudini e i propri vissuti.

Di certo, un grande problema, è che quando i figli piangono, magari per mezz’ora, si creano 2 situazioni:

  1. Cresce nel genitore l’esasperazione perché quel pianto, quei capricci, fanno emergere la nostra aggressività e ci portano a spazientirci
  2. Il genitore si sente inefficace. Non riuscendo a risolvere, non riuscendo a trovare la soluzione che fa svoltare la situazione dal pianto alla quiete, noi genitori ci sentiamo inefficaci, non capaci, non all’altezza.

Come genitori dobbiamo accettare il fatto che in alcuni casi si intuisce con facilità i motivi di quella reazione e si può ponderare se andare incontro oppure no alla pretesa dei figli mentre, in altri casi non si capisce quale sia il problema scatenante e puoi solo accettare il loro bisogno di sfogare anche la frustrazione di non riuscire a farsi capire da te.

Anche per dei figli capaci, in gamba, creativi e intraprendenti, non riuscire a farsi capire, scoprire che i propri genitori non riescano a capire il motivo della protesta, accresce la loro frustrazione e noi possiamo solo accettare che sia così, ma possiamo dimostrare di accogliere la loro frustrazione, di averlo notato, di averlo accettato. 

Quando il bambino torna alla calma

Dopo che i bambini hanno la loro esplosione con urla e pianti, rifiutando le tue regole o i tuoi “no”, c’è un momento in cui, finalmente, tutto torna alla calma.

Quando i figli tornano ad essere sereni, è il momento giusto per tornare sull’accaduto.
I genitori cercano spesso di far “ragionare” i figli durante la manifestazione di rabbia ma è del tutto inutile. Quando si è in preda alla collera o al capriccio, non c’è spazio per ponderare e fare auto-analisi. Quindi è importante tornare sull’accaduto quando le acque si sono calmate, per capire il perché di quella reazione, cosa voleva dire, cercando di spiegare che più manifesta con platealità il suo dissenso meno riesce a farsi capire, e meno tu puoi dargli l’aiuto che cerca.

È sufficiente spiegarlo ai figli una volta? No. Deve essere un messaggio che riaffronti dopo ogni burrasca seguita dalla quiete. Ricorda, caro genitore, che stai seminando per raccogliere i frutti in futuro.

È una fase, accettala come tale. Sarà solo una fase se tu sai come mantenerla all’interno di binari ben precisi e, la parte della tua accettazione è importantissima perché se non c’è, i figli tendono ad aumentare la portata della protesta che porta ad una costante e continua escalation di cui perderesti il controllo.

 

Fabio Salomoni