I tuoi figli ti danno soddisfazione? Sono all’interno di alcuni gruppi facebook di genitori e qualche giorno fa ho letto un messaggio anonimo di una mamma che scriveva:

Sono una mamma scoraggiata e stanca. Ho un figlio di 16 anni bravo a scuola, educato ma che scambia casa con un albergo. Si alza la mattina va a scuola, quando torna, se sono a casa, ci scambiamo un “Ciao. Tutto ok”. Al pomeriggio si chiude in camera e lo rivedo solo la sera per cena. Prima avevamo un bel dialogo, adesso sembro trasparente. Delle volte mi ritaglio un po’ di tempo per entrare nella sua stanza e parlargli, ma sembra di parlare ad un muro”.

Questo post, mi è sembrato descrivesse il vissuto di tante mamme.

I tuoi figli ti danno soddisfazione?

Così, ho deciso di condividerlo con voi per affrontare alcuni temi: il post inizia dicendo “sono una mamma scoraggiata e stanca” ma poi, quando descrive il figlio dice “va bene a scuola, è educato, la mattina si alza e va a scuola, al ritorno mi saluta…” e allora mi chiedo perché si senta scoraggiata. Perché ti senti stanca a causa di un 16enne così? Capirei l’attribuirgli la responsabilità della sua stanchezza se avesse detto che deve rincorrerlo per la città perché non sa cosa combina, se avesse scritto che invece di andare a scuola va sotto i ponti a farsi con gli amici, se mi avesse descritto situazioni di ribellione, lotte quotidiane, litigi furenti ma, questa mamma, è stanca (forse intendeva dire stufa) di una situazione che molte mamme desidererebbero.

Anche il termine scoraggiata: si sente scoraggiata perché non “riceve”, non riceve attenzioni, non riceve lo scambio d’affetto che desidera, non riceve l’interesse che sente di meritare, perché era abituata che quando il figlio era piccolo, per ogni cosa correva da lei e, magari, a quei tempi tutto quel “mamma, mamma, mamma” la spazientiva ma ora che le parla poco c’è, da parte della mamma, la lamentela opposta perché sente di non essere più al centro della vita e dei pensieri del figlio.

Ma allora, i tuoi figli ti danno soddisfazione?

I figli vanno valorizzati

Attenzione a gettare via quanto di bello e prezioso hanno i nostri figli solo per il fatto che non soddisfano a pieno le nostre aspettative.

Qui si parla di un ragazzo che studia, gentile ed educato e non può essere dato per scontato, non può essere minimizzato.

La lingua italiana è molto attenta a ciò che si valorizza e ciò che si snobba: è ben diverso dire “studia ed è ducato ma non mi parla e non mi coinvolge” piuttosto che dire “non mi parla e non mi coinvolge ma è studioso ed educato”. Nel primo caso si afferma che nonostante le qualità non ci soddisfa, nel secondo caso si afferma che ha qualche pecca ma va bene nonostante questi nei comportamentali.

Quando più utilizziamo la prima tipologia di affermazioni e tanto più rafforziamo in noi genitori convinzioni e pensieri di insoddisfazione svalutando le qualità dei nostri figli.

I figli non sono lo strumento per sentirci appagati. I tuoi figli ti danno soddisfazione?

Quindi, in questo caso e in tutti i casi che in qualche modo si rispecchiano in questo post, nonostante le qualità del figlio, la mamma non è appagata. Il figlio dovrebbe agire diversamente.

Alle persone che seguo in coaching lo ripeto spesso:

i figli non sono lo strumento per sentirci appagati.

Questa frase dovrebbe essere il titolo di un libro, dovremmo appenderla in casa, farne un murales in sala. I figli non sono lo strumento per sentirci appagati, non sono lo strumento per compensare le frustrazioni, le delusioni, le mancanze d’entusiasmo, d’amore o di interesse che vorremmo ricevere e vivere.

I figli sono i figli e nulla più. Se vogliamo qualcuno che scodinzoli attorno a noi e che non veda l’ora di ricevere una coccola per sempre, allora dobbiamo prendere un cane (già il gatto non va bene perché è più autonomo) ma, un figlio non possiamo metterlo al mondo perché soddisfi il nostro bisogno di ricevere amore.

I figli si mettono al mondo perché abbiamo desiderio di dare, di passare, di consegnare, di continuare attraverso loro. Non è più l’epoca in cui si metteva al mondo per avere. Una volta era così: in molti casi si mettevano al mondo braccia che potessero contribuire con il loro lavoro al sostentamento della famiglia; all’inizio erano bocche da sfamare ma presto sarebbero diventate gambe e braccia che avrebbero dato una mano.

I tempi sono cambiati e ora mettiamo al mondo i figli per amore ma, l’amore, dobbiamo considerarlo unidirezionale, da noi a loro e se poi ne riceviamo una parte in cambio tanto meglio, ma non è questo l’obiettivo.

Non si mette al mondo un figlio per ricevere amore:
lo si mette al mondo per dare amore.

Aggiungo: il fatto che quel 16enne non coinvolga la madre, il fatto che non le parli più come prima, il fatto che stia in camera sua, nel suo mondo, non significa che non ami la madre.

L’ama immensamente, ma in modo diverso. L’ama immensamente ma non attraverso le manifestazioni che lei desidererebbe. L’ama immensamente ma deve staccarsene per poter diventare adulto. L’ama immensamente ma è intendo a crearsi una rete sociale di amicizie e amori nuovi e privati.

Il figlio che non parla più

Nel post scrive “Prima avevamo un bel dialogo, adesso sembro trasparentee credo che il vero punto sia proprio questo. Il centro della questione sono le aspettative di una mamma che vorrebbe ancora quel bambino adorante davanti a sé.

È strano perché li vogliamo grandi e maturi, ma piccoli e amorevoli.

La mamma si sente trasparente ma non è un problema del figlio.
Si sente frustrata? Forse deve farsi una vita. Forse deve iniziare considerare questo ragazzo in procinto di lasciare il nido (certo, avverrà tra 10 o 15 anni ma il processo è iniziato).

Trovo molto tenero che scriva anche “Delle volte mi ritaglio un po’ di tempo per entrare nella sua stanza e parlargli” ma poi conclude dicendo “ma sembra di parlare ad un muro” e se è così, dovremmo chiederci perché.

Perché un ragazzo sereno, tranquillo ed educato crea un muro comunicativo con i propri genitori? La mia risposta, sulla base dell’esperienza accumulata in tanti anni che seguo genitori in difficoltà, è: perché molto spesso le mamme sono invadenti. Perché le mamme non accettano che i figli abbiano i loro spazi, i loro segreti, la loro privacy e sono tutti aspetti fondamentali in questa fase di vita.

La mamma bussa alla porta della camera del figlio, entra e scambia qualche parola? Ottimo, ha fatto una grande cosa: ha mantenuto un ponte di comunicazione tra sé e il figlio, ha fatto tutto quel che doveva, ha fatto in modo che si mantenesse vivo uno spiraglio, ha teso una mano, con il suo gesto ha comunicato “se vuoi ci sono” e questo è il suo compito.

A questa età il compito di un genitore non è di avere lunghi e aperti dialoghi con i figli che forse non vogliono parlare con i genitori della ragazzina o del ragazzino a cui pensano giorno e notte. I figli sanno che non possono riferire ai genitori i loro timori per l’interrogazione di statistica del giorno seguente, perché se lo facessero la madre risponderebbe “se ti preoccupa perché non studi di più? Perché non ripassi invece di stare alla playstation?” e quindi, invece di ricevere conforto, ipotizzano sulla base della loro esperienza che riceverebbero le solite critiche di non studiare abbastanza.

I figli parlerebbero se sapessero di non subire in cambio una critica o un giudizio; ne ricevono già tanti durante tutto l’anno che non possono evitare, i giudizi degli insegnanti sul registro e i giudizi dei coetanei, se possono evitare quelli delle loro madri, lo fanno più che volentieri.

I tuoi figli ti danno soddisfazione? Cosa si aspetta una mamma?

Cosa si aspetta una mamma? Che il figlio le dica che il suo amico lo ha preso in giro per la maglietta, con il rischio che la madre gli risponda “ma dai… sono sciocchezze” (perché spesso i genitori non si rendono conto che quel che per un adulto è una sciocchezza per un adolescente è il proprio mondo e noi non dovremmo sminuirlo).

Così, una volta è una risposta che minimizza e non comprende, un’altra volta è una risposta che giudica o rimprovera e loro, i figli, imparano che stare sulle proprie è meglio che esporsi, si corrono meno pericoli, anche perché a quell’età sono oltretutto pieni di timori.

I figli, non solo adolescenti, anche pre-adolescenti ma anche un po’ prima, se hanno delle insicurezze e ritengono di essere sotto potenziale minaccia dei commenti negativi dei genitori, preferiscono nascondersi dietro ad un muro di silenzio che crea distanza e, come vi dico spesso, quel muro lo creiamo noi.

Anzi, il muro lo creano i figli ma siamo noi ad indurli a costruirlo.

I figli crescono e cambiano
Mentre pensavo a questo articolo ho considerato il mio rapporto con il mio Alessandro, il 21enne il quale sta quasi tutto il giorno in camera sua a studiare o dedicandosi ai suoi passatempi preferiti.

I momenti di scambio e contatto sono pochi. A volte arriva un argomento, una questione sulla quale ci si confronta, esponiamo i rispettivi punti di vista, a volte siamo distanti e restiamo tali, altre volte collimano e siamo concordi.

Qualche giorno fa mi ha fatto piacere  che si confidasse con me su una sua questione privata e personale ma, a parte questi momenti saltuari, il nostro dialogo è sporadico. Del resto, i suoi interessi sono molto distanti dai miei, i suoi amici non so chi siano e cosa facciano, anche il suo umorismo è diverso dal mio e ciò che lo diverte mi trova spesso indifferente e molte delle cose che io trovo spassosissime lui le osserva con incredulità. C’è distanza tra noi? C’è la distanza che è naturale ci sia tra 2 adulti che si vogliono bene ma non hanno più un ruolo di dipendenza l’uno dall’altro.

Il rapporto con i figli cambia, e dobbiamo farcene una ragione.
Dobbiamo considerarlo una parte del loro processo di autonomia e crescita.

 

Fabio Salomoni