Oggi parliamo di genitori sotto la minaccia dei figli. Voglio iniziare riportandoti alcuni messaggi che ho ricevuto ultimamente: “Mio figlio di 8 anni non ha limiti e faccio fatica a fargli rispettare le regole. Mi ricatta, e trovare la soluzione equivale a fare quello che dice lui”. Altro messaggio di una mamma:“Se si impunta che vuole qualcosa è la fine e spacca tutto (7 anni). Non sempre ottiene, ma quando sono esasperata alla fine cedo e gli compro quello che vuole”. Un papà: “Non sa gestire le sue reazioni ai no. Non li accetta e reagisce violentemente.” Infine, una mamma: “il problema è la rabbia, e qualsiasi cosa dico, esplode con urla e insulti

Potrei proseguire con altri 100 messaggi ricevuti negli ultimi anni che descrivono situazioni più o meno simili.

Primo aspetto di cui tener conto è questa rabbia che viene descritta.

Non è normale che un bambino abbia tutta questa rabbia da far esplodere e da dirigere contro i genitori, o i compagni di classe, o in qualunque altra direzione. Un bambino che cresce sereno è tendenzialmente sereno. Un bambino che vive in un ambiente a modo, non dico perfetto, ma un normale ambiente a modo, cresce sereno e se può essere normale che qualche volta dei figli possano avere dei momenti di capriccio, di pianto o di pretesa, non è normale che si vedano frequenti o continue manifestazioni di rabbia veemente.

Genitori sotto la minaccia dei figli: dove nasce la rabbia dei figli?

Quindi la prima cosa da chiedersi è da dove venga questa rabbia. Cosa turba così tanto questi bambini e la risposta è da ricercarsi, nella stragrande maggioranza dei casi, nell’ambito famigliare.

Il mondo dei figli piccoli è genitori-centrico. Quasi tutto il loro mondo ruota attorno alle dinamiche genitore-bambino. Mano a mano che crescono il mondo dei figli si distanzia dai genitori e si apre al mondo esterno sino ad arrivare, nell’età adolescenziale, ad essere una realtà amici-centrica, con i coetanei come fulcro di interessi e relazioni.

Questi bambini, di età prescolare o nei primi anni di scuola primaria, sono ancora in una fase genitori-centrica.

Certo, potrebbero esserci delle tensioni a scuola, certo, potrebbe esserci un amichetto a scuola che dà il pessimo esempio, ma di solito questi sono gli alibi. Anche se ci fosse un amichetto trascinatore, anche se ci fossero delle tensioni a scuola, se a casa c’è un clima di serenità il bambino ritrova quella pace che gli consente di ritrovare un proprio equilibrio e, la famiglia stessa, gli serve da sostegno per contrastare ciò che lo preoccupa o lo mette in difficoltà.

Ma il contrario non può avvenire. Non può avvenire che un bambino di 6-7-8 anni, con delle tensioni più o meno palesi in casa, in famiglia, vada a scuola e trovi il supporto necessario per rasserenarsi dalle preoccupazioni famigliari. Non ci credo che possa avvenire e se avviene in un caso su centomila, non fa testo.

Allora, quando i figli hanno atteggiamenti di questo tipo, è utile porsi alcune domande:

  • Com’è il rapporto tra mamma e papà?
  • Come si rivolgono al figlio?
  • Quanto sono richiedenti i genitori lasciando pochi margini di errore ai figli?
  • C’è una aspettativa di semi-perfezione?
  • Quante regole ci sono in casa? Come vengono imposte? Vengono fatte rispettare?
  • Quanto giocano con lui e quanto tempo di qualità gli rivolgono? Troppi genitori giocano con i figli tenendo il naso sul proprio cellulare e quindi, di fatto, dando il messaggio ai figli di essere meno importanti e più noiosi rispetto allo smartphone.

Genitori sotto la minaccia dei figli: errori da evitare con i bambini aggressivi

La situazione peggiore che si possa verificare è il mostrare una spaccatura tra papà e mamma, in particolare nei momenti in cui il bambino fa le sue “sceneggiate”.

La frase tipica delle coppie che rivelano poca coesione è, durante il momento di difficoltà, affermare: “Se fa così è per colpa tua che gli permetti sempre tutto”.

È la manifestazione di una spaccatura tra i genitori che non fa che gettare il bambino ancora di più nel panico.

Molti genitori, di fronte a queste situazioni, pensano in modo sbrigativo che il problema sia il bambino e lo portano dal neuropsichiatra per farlo visitare. Va bene, il neuropsichiatra gli sarà utile per rimettere insieme i cocci, ma il vaso lo hanno rotto i genitori e se non lavorano sulle proprie dinamiche, sul proprio modo di pensare e comportarsi, ri-staccheranno ogni frammento che viene ri-posizionato al posto giusto dallo specialista, rovinando di nuovo tutto.

Ma, di solito, non se ne rendono conto, o non si mettono adeguatamente in discussione (anzi, di solito si mette in discussione uno dei 2 genitori e l’altro si sente salvo e gli attribuisce le colpe).

Hai una leadership genitoriale?

Dopo questo primo aspetto di clima e relazione in famiglia, c’è da considerare l’aspetto educativo che è composto da 2 componenti:

  1. Leadership
  2. metodo

Cosa intendo con leadership? Un bambino, quando nasce, si affida totalmente ai propri genitori. Non si cura di chiedersi se siano all’altezza oppure no. Si affida e si fida, lo dà per scontato. I genitori sono, per i bambini, quanto di più importante hanno nella loro vita, in particolare la madre con la quale hanno un legame simbiotico dato dai mesi di gestazione.

Con il crescere del bambino, quel ruolo di leadership occorre agire perché si mantenga.

Se non lo si fa, lo si perde.
Se non si agisce nel modo opportuno il bambino percepisce che il tempo del “fidarsi e affidarsi” ai genitori è terminato e crede di dover assumere la leadership che i genitori hanno perso.

Se ciò avviene in età adolescenziale possiamo dire che è tutto nella norma ed è utile perché i figli formino la propria personalità e indipendenza, ma se avviene a 3 o 5 o 7 anni non va affatto bene. A questa età devono ancora fidarsi e affidarsi ai propri genitori.

Se non avviene è perché uno o entrambi gli adulti hanno mancato in qualcosa.
Capita quando i genitori strepitano tanto e concludono poco.
Capita quando i genitori minacciano chissà quali punizioni che poi non si sentono di applicare (e meno male, perché per fare paura al figlio spesso fanno minacce improponibili che, se fossero mantenute, sarebbero da denuncia), ma poiché le sanzioni anche minime non vengono fatte seguire per troppo amore o per altre situazioni, il genitore perde credibilità e quindi leadership.

Come dico sempre occorre una tranquilla fermezza.

Tranquilla, e quindi senza isterismi, senza urla lacera-timpani per ogni situazione che non va come avrebbe dovuto, senza mille minacce, con voce serena, tranquilla, e FERMA, che non lascia spazio a fraintendimenti, e anche lo sguardo, il tono della voce, devono andare nella stessa direzione e dire al bambino “la situazione l’ho in mano io! Le cose non andranno come pretendi tu”.

Avere leadership significa anche non agire per partito preso: ci sono delle volte in cui occorre chiudere un occhio e ci sono delle volte dove occorre essere intransigenti, ci sono delle volte dove occorre essere complici e delle volte dove essere irremovibili in un rapporto che non sia “tante volte complice e raramente autorevole” perché, in tal caso, il bambino si creerebbe l’abitudine al sì e si creerebbe l’aspettativa che il sì sia doveroso, vivendo con grande sorpresa e frustrazione quei rari no.

Non dobbiamo aver timore di dire no ai figli.
Troppi genitori hanno paura di dire no ai figli per timore di perdere il loro amore.

Un no, tranquillo, fermo e motivato, è un enorme gesto d’amore ed è estremamente educativo.

Hai un metodo per essere genitore?

Dopo l’aspetto Leadership c’è il 2° aspetto: il metodo.

Se un bambino di 5-6-7 anni pone dei ricatti e la madre cede ai ricatti del figlio, è venuta meno totalmente al proprio ruolo genitoriale.

La cosa peggiore è che, cedendo, sta insegnando al figlio che attraverso il ricatto può ottenere ciò che desidera.

Quel bambino sarà, con buona probabilità, un adulto che spesso creerà situazioni di ricatto con il/la proprio/a partner. Una frase che sentivo spesso negli anni in cui ho lavorato in psichiatria, detta da partner di pazienti era: “Quando  agisco in quel certo modo, minaccia di spaccare tutto, di fare disastri o di uccidersi” e ricordo relazioni dove lui o lei non poteva mai uscire una sera con gli amici o le amiche perché erano sottoposti alla minaccia che al ritorno avrebbero trovato un cadavere “Per colpa loro”, c’erano relazioni dove lui o lei era costretto a rinunciare alle trasferte del lavoro, c’erano relazioni dove lui o lei non poteva andare a trovare i propri genitori e così via, sotto costante ricatto “se fai la tal cosa io farò qualcosa di terribile” insieme al messaggio, tra le righe, “per colpa tua”.

Ti ho parlato di pazienti di reparto psichiatrico, sono i casi estremi, ma hai idea di quante persone vivano situazioni di ricatto più o meno velate e continue? Dove hanno imparato un modo simile di relazionarsi? A mio avviso, una parte di loro, sono stati bambini che hanno vissuto quel che sto raccontando. Magari hanno appreso dai propri genitori che i ricatti sono leciti: “mangia tutto se vuoi che ti voglia bene”, “Se non fai la tal cosa non ti voglio più” e guarda, che sono frasi che fino a qualche generazione fa era normale pronunciarle. Oppure “se fai in questo modo, mi fai venire il crepacuore”.

Genitori sotto la minaccia dei figli: il bambino manipolatore

Ti invito a tenere a mente una cosa: il manipolatore trova spazio solo se dall’altra parte ci sono figure deboli. Vale nel rapporto genitori-figli e vale nel rapporto di coppia. Il bambino che agisce ricattando il genitore, riesce nel suo intento solo se il genitore è debole e questo non dovrebbe essere lo scenario giusto nel quale crescere.

Un bambino che si impone con urla e minacce di rompere le cose non può trovare terreno fertile nei propri genitori.

Se il bambino minaccia e il genitore si spaventa e cede su tutta la linea, chi ha il controllo della situazione? Il bambino. Quindi l’ambiente famigliare lo stanno di fatto consegnando ad un bambino di 6-7 anni? Ci sembra adeguato?

Una delle mamme ha scritto “trovare la soluzione equivale spesso a fare quello che dice lui”: no, questa non è “la soluzione”; questa è la soluzione trovata da quella mamma per posticipare il problema, per non affrontare la situazione nel modo corretto, per non doverci dedicare tempo ed energie (magari perché troppo stanchi e stressati dalle lunghe e impegnative ore lavorative o da un rapporto di coppia che esaspera e toglie energie). Si decide di cedere per non sentirlo più urlare, per non sentire gli strilli, per non subire la minaccia che possa rompere qualche cosa, ma non lo fa per il bene del figlio, lo fa per il bene proprio, per non sentire più urlare, per non ritrovarsi oggetti rotti.

Per non avere ulteriori fastidi, acconsente a tutto ciò che pretende il figlio e, in questo modo, spegne l’incendio sul momento. Peccato che la cenere e i tizzoni siano ben vivi e non ci vorrà molto perché divampi un nuovo incendio e, magari, sarà più impetuoso, anche perché più quel bambino cresce e più si avvicina all’età adolescenziale e, affrontare l’età adolescenziale con un ragazzo che ha imparato l’arte del ricatto per ottenere ciò che vuole, significa partire sconfitti in partenza, perché con l’aumentare dell’età adolescenziale il nostro controllo sulla loro vita diminuisce in modo esponenziale.

Se già non si aveva il controllo della situazione quando era piccino, figuriamoci quando sarà adolescente.

Il genitore che afferma “trovare la soluzione equivale a fare quello che dice lui” è un genitore che, per riuscire ad avere una calma e tranquillità sul momento, sta seminando per un nuovo disastro tra poco, perché il bambino sta apprendendo che basta minacciare e tutto verrà esaudito. In qualche modo la madre si è messa nelle condizioni di ricevere numerosi ricatti in futuro.

Nella frase dell’altra mamma “quando sono esasperata alla fine cedo e gli compro quello che vuole” c’è la fine del ruolo genitoriale. Il bambino ha trovato la chiave. È sufficiente portare la mamma all’esasperazione e quindi lo farà ripetutamente, lo farà sempre più spesso, perché dal suo punto di vista è la soluzione vincente.

 

Fabio Salomoni