Quanta paura hanno i nostri figli del Covid? Me lo chiedo mentre faccio scorrere rapidamente i post di Facebook saltando quasi tutto e soffermandomi su rare immagini o testi. Non sto cercando nulla di particolare, sto semplicemente perdendo tempo.

Improvvisamente la mia attenzione viene risvegliata da una foto di un bigliettino di carta scritto con una calligrafia incerta, scopro in seguito, da un bambino di 8 anni.

Il bambino è a casa da scuola con sintomi influenzali: qualche colpo di tosse, un po’ di raffreddore, nulla legato al Covid, alla pandemia, a tamponi e vaccini… ma il bambino non lo sa e quindi, spaventato, prima di andare a letto scrive e consegna ai propri genitori le seguenti parole:

“In caso che dovrei morire vi lascio il cuore”

Ora, molti rigorosi seguaci dell’Accademia della Crusca avranno immediatamente notato l’uso improprio del congiuntivo e avranno detto tra sé e sé “Dovessi. Dovessi! Dovessi!!!” ma significherebbe notare l’aspetto meno importante.

Il bimbo, in preda alla paura per la propria sorte e il proprio futuro, decide di scrivere il proprio testamento, di scrivere un lascito e dona ai propri genitori, a coloro che più ama, tutto ciò che ha, ciò che di più caro possiede: il proprio cuore.

Rassicuro immediatamente il lettore dicendo che il bambino, dopo pochi giorni, era perfettamente guarito dalla forma influenzale e aveva ripreso pieno vigore e vivacità.

Cosa sta accadendo nella mente di un figlio?

Ci siamo chiesti cosa stanno vivendo i nostri figli?
Tutti. Quelli ancora giovani e quelli già grandicelli.
Quali conclusioni sta traendo la loro fantasia?
Quanta paura hanno i nostri figli del Covid?
Le informazioni che ricevono quotidianamente come le elaborano?
In quale mondo stanno immaginandosi di vivere?

Sono domande importanti, perché siamo nell’era dei risultati, del pragmatismo, la filosofia è da molti considerata frivola se non inutile e quindi ci siamo concentrati sull’evitare il contagio (certamente importante), sul tutelare la loro salute fisica (indiscutibilmente fondamentale), li abbiamo rimproverati con tono allarmato quando li abbiamo sorpresi con le dita in bocca, il nostro invito a mantenere la mascherina e le distanze si è trasformato in pretesa.

Tutto giusto. Nulla da ridire sulle intenzioni di questi atti.
Ma abbiamo scordato che l’essere umano non è solo corpo.
L’essere umano è anche relazione, è emozione, è pensiero.

Ma quindi, quanta paura hanno i nostri figli del Covid?

Per quasi cento anni si è ritenuto che le lezioni di matematica o italiano fossero più importanti di quelle di musica o arte. L’ora di ginnastica veniva sacrificata senza dubbio alcuno se era a beneficio di una materia considerata più nobile.

Così facendo abbiamo limitato e tarpato le ali a possibili e probabili grandi artisti che avrebbero meritato di potersi manifestare al pari di letterati e matematici.

Allo stesso modo abbiamo dato estrema importanza alla cura del corpo, della macchina corpo, considerando di minor importanza tutto ciò che rende questo involucro vivo.

Se segui i miei post o i miei video da tempo, certamente saprai che per 25 anni ho lavorato in un reparto di psichiatria a Milano. Mio padre, che ha fatto per 40 anni il caposala in cardio-chirurgia, ha spesso espresso i suoi dubbi per la mia scelta e considerava la psichiatria una branca di serie B.

Ma cos’è un corpo sano in una mente che non funziona a dovere?
Ora mia mamma ha l’Alzheimer e mio papà si è necessariamente ricreduto.

Avremmo dovuto occuparci dello spirito e della mente dei nostri figli al pari delle accortezze che abbiamo impiegato per la tutela del loro corpo.

Non ci siamo accorti e i figli sono passati (chiedo scusa per la citazione politamente scorretta) dalla paura “dell’uomo nero” alla paura del “Virus Covid”, subdolo, invisibile e letale.

Quale può essere l’opportunità della vicenda?

Se hai frequentato qualche corso di Crescita personale ti avranno certamente detto che ogni situazione può essere vista come un problema o come una opportunità.

Molti motivatori asseriscono che in cinese la parola “crisi” sia costituita dalle parole “pericolo” e “opportunità” a significare le due strade che si possono intraprendere in ogni situazione di difficoltà (in verità è una errata traduzione che utilizzò in un discorso Kennedì a Indianapolis nel 1959 e poi lo stesso errore lo ripeterono in altri discorsi, Nixon, Condoleezza Rice e Al Gore e si è diffuso come un meme e lo si ritrova in molti libri e corsi motivazionali).

Noi, senza disturbare la lingua cinese, ci focalizziamo sulla possibilità di utilizzare al meglio gli eventi che inevitabilmente viviamo.

Quel che è stato è stato.
Ancora non siamo usciti dalla situazione di emergenza.
Volendo cogliere un aspetto utile e positivo da quanto è accaduto, ritengo opportuno chiedersi cosa possiamo trarre da quanto abbiamo vissuto.

Quale può essere l’opportunità della vicenda?

Avrai certamente compreso l’obiettivo del mio articolo: dobbiamo avere maggiore attenzione per il vissuto dei nostri figli.

Dobbiamo considerare maggiormente le loro emozioni.
Dobbiamo occuparci di più di quello che provano.

Se un corpo si infetta e muore è una tragedia.
Ma se un figlio, pur non infettandosi, piange per ore perché terrorizzato da un futuro che immagina ormai finito, se una figlia si chiude in camera e decide di interrompere quasi tutte le relazioni, se un figlio non considera più come piacevole una stretta di mano o un abbraccio, se una figlia non riesce a trovare in sé la scintilla del sorriso, siamo di fronte ad una tragedia altrettanto preoccupante.

Il testamento del Natale

A pochi giorni dal S. Natale vorrei che il testamento scritto da questo bambino rimanesse nella nostra memoria per diversi motivi:

  1. Per il suo amore:
    in quelle poche parole quel bambino ha pensato di donare sé stesso. In quelle poche parole si è occupato di dare, non di ricevere. Nonostante fosse in un momento di profondo sconforto ha mostrato solo generosità.
    Dovremmo imparare molto da questo bambino.
  2. Il cuore conta più di ogni altra cosa:
    non ha pensato di donare le sue mani che gli permettono di fare, costruire, giocare. Non ha pensato di donare il suo viso che, come una fotografia, i genitori avrebbero potuto guardare. Non ha pensato di donare il suo cervello, il contenitore della sua razionalità, dei suoi ricordi e delle sue preoccupazioni.
    No… ha voluto donare il suo cuore.
    Il suo Amore.
    Ha voluto donare ciò che per lui è la sede delle sue amozioni, della sua felicità, della sua generosità e delle sue passioni. Ha voluto donare il suo essere più intimo e profondo.
  3. Ricordiamoci di rincuorare:
    diamo supporto alla sfera emotiva.
    Acquisiamo quanti più strumenti possibili per poter essere di supporto anche nella sfera emotiva.

Ti auguro di trascorrere un Natale di serenità.
Oggi probabilmente la serenità è uno dei beni più preziosi.
Ti auguro di saper donare a te e alle persone che ami una sensazione di pace per il presente e fiducia per il futuro.
Ti auguro di trascorrere il Natale in un ambiente di amore e condivisione.

 

Fabio Salomoni